Vivo circondata da libri, da sempre.
Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia in cui ai libri era destinata un’intera stanza. Ma erano così tanti che si riversavano allegramente nelle camere da letto, sui tavolini, sopra i comodini fino a conquistare un pezzo di solaio.
Per un po’ si è cercato di imporre loro una certa disciplina, ricordo ancora la disposizione della ‘libreria’ con gli scaffali da terra al soffitto: entrando a sinistra solo i libri di scuola, liberi di occhieggiare da una posizione privilegiata che favoriva la visione dell’intera stanza.
Di fronte alla porta c’era il reparto letture per ragazzi, con i grandi classici; ebbene sì, anche quelli che – una volta – ti obbligavano a leggere, tipo ‘I ragazzi della Via Paal’, ‘Incompreso’, ‘Senza famiglia’, ‘Pip grandi speranze’, tutta roba allegrissima dove, quando andava bene, si parlava di orfani, povertà e bambini malati se non morenti o addirittura già prematuramente morti.
Devo ancora capire perché per la mia generazione o in certe famiglie si desse per scontato il potere formativo ed educativo di queste letture; sicuramente il nostro vocabolario e i temini che si facevano a scuola ne erano ampiamente beneficiati.
Tuttavia si versavano lacrime in quantità non indifferenti; pare che fosse una sorta di rito di passaggio. Verso la consapevolezza di esser fortunati, sicuramente sì.
Fortunatamente i cosiddetti classici per ragazzi comprendevano anche autori come Jules Verne e Alexandre Dumas, scrittori dal salvifico potere di risollevare il morale dopo la mazzata conseguente la lettura de ‘Il gran sole di Hiroshima’.
I nostri genitori snobbavano al tempo stesso testi quali Piccole Donne e compagnia bella, secondo me perché ritenuti di scarso valore letterario. In compenso io non ho mai sopportato le favole tradizionali così come Pinocchio, Alice e similari. Ma la voglia di liberare la fantasia attraverso la lettura si è sempre ampiamente scatenata grazie ad uno dei primissimi libri che ricordo di avere letto, riletto e consumato: ‘Storie della Storia del Mondo’ di Laura Orvieto, una prima edizione di inizio ‘900, appartenuta a mia madre.
Un libro che racconta di Dei ed eroi in modo assai avvincente, istruttivo, divertente e fa conoscere ed amare la mitologia, cosa che a mio giudizio serve moltissimo; pensate solo alla letteratura e all’arte.
A destra del reparto ragazzi seguivano i romanzi, la saggistica, la poesia, testi di economia e politica, testi di storia, libri d’arte, monografie di pittori. Dal lato opposto libri di fotografie su animali di ogni parte del mondo, enciclopedie, libri gialli e polizieschi, umoristici, le collezioni dei Peanuts e molto altro.
E poi, lei: la sezione di libri di cucina. Reparto con la pericolosa tendenza ad essere incontenibile nonché in continuo crescere di numero: una moltiplicazione inarrestabile e settimanale.
Responsabile, ma mai colpevole, mio padre. Collezionista di ricette, di testi di ricette, di ricerche sulle ricette, di comparazioni di ricette: glossatore nato, mai pago di confrontare provenienze e variazioni di una medesima preparazione, non ha peraltro mai cucinato, forse delle uova sode ma non ci sono prove attendibili a carico.
Presto, credo intorno ai sei anni, sono stata di fatto inserita in questo vortice di fogli fitti di pesi, ingredienti, cotture e presentazioni. Il mio ingresso ufficiale, sancito anche dalle uniche due parole che avevo imparato a scrivere prima di iniziare la scuola cioè olio e aceto, avviene con questo libro meraviglioso ‘Giochiamo alla cucina’. Lorenza Stucchi ne scrive i testi e Lydia Sansoni li colora mirabilmente.
Lorenza de’ Medici di Ottajano Stucchi Prinetti è stata una figura fondamentale per la diffusione della cucina italiana nel mondo, scrivendo decine libri, fondando una scuola di cucina conosciuta dagli appassionati di cucina di ogni continente. Lydia Sansoni famosa artista e illustratrice, da sempre politicamente impegnata e attiva nel femminismo.
Dalla collaborazione tra queste due grandi personalità nasce quindi nel 1963 la prima edizione di Giochiamo alla cucina: fatto per i bambini ma bellissimo per chiunque, appaga gli occhi, ci fa tornare piccoli solo a leggere le filastrocche che introducono ricette e lavoretti vari, facili e divertenti.
Forse sono una sognatrice ma pensate che bello se fosse adottato come libro di lettura per le scuole dei piccoli: imparare a fare per mangiare non sarebbe meraviglioso?