Emergente sala 2025: i primi quattro finalisti

Merano non ha accolto solo il Wine Festival, manifestazione arrivata alla 32° edizione; nei giorni 11 e 12 novembre si sono svolte le selezioni nord di Emergente Sala. Non si tratta semplicemente di una competizione tra i giovani, tutti sotto i trenta anni, che vedono nella sala il loro futuro nella ristorazione. E’ un confrontarsi con i loro pari in un ambiente nuovo, non famigliare, prendendosi cura di commensali che gustando la cena osservano ogni dettaglio, ogni movimento del loro operare. Non è solo lo spiegare il piatto che viene servito, il vino che si propone, il soddisfare le domande che via via nascono dalla degustazione; è il come porsi, l’educazione nel trattare le persone anche le più ruvide, è il sorriso cordiale ma sempre composto, è la capacità di conversare senza cadere nell’eccessiva confidenza.

Ho assistito alla finale dell’edizione 2024 e confesso che è stato emozionante e appagante, dal mio punto di vista di cliente, vedere con quanto impegno i candidati affrontano le due prove: una di servizio, la Cena di Gara, e una di esposizione e presentazione.

I primi quattro finalisti sono:

– Elisa Agarinis – Ristorante Agli Amici**Michelin – Udine, Friuli-Venezia Giulia.

– Manuel Cossu – Vesta Fiori Chiari – Milano, Lombardia

– Lorenzo Durando – Ristorante Le Cupole Grand Hotel Bristol Portofino Coast***** – Rapallo, Liguria.

– Francesco Mario Passaretti – Ristorante Cannavacciuolo Le Cattedrali Luxury Relais *Michelin – Asti, Piemonte

Le selezioni per il centro sud si terranno a Roma nel febbraio 2025, poco prima della finalissima.

Pranzo, formaggi, riflessioni

Oggi, al mio ristorante casalingo, ho prenotato fuori.

Un sole ritardatario che non sa più che temperature fare, un tavolino a scomparsa, date le dimensioni una striscia di stoffa blu (runner, per le erudite della nuova tavola; volere ma non posso per quelle che il lino bianco era la normalità). Volevo formaggi. Ho tradito le nove di DOP di questa terra che mi ospita da qualche decennio e, ambendo alla voluttuosa cremosità sono andata in Francia. C’è da dire che, nonostante io non ami le marmellate e le salsine con i formaggi (meglio duri e puri come i vecchi Defender), l’età mi ammorbidisce e, covando da decenni la gola per le mostarde Boschetti, mi sono fatta irretire – consenziente – da fette di mela e mele cotogne. Le mostarde tipo cremona, non me ne vogliano gli amanti/produttori, sono sempre state considerate ovvie in casa mia; e le vicentine sempre meglio accolte per delicatezza ed omogeneità di sapori. Il risultato: formaggi, tre tipi di pane tostato, le mostarde e un Pinot Bianco di Princic anno 2021.

Nella calma della colazione, lontana dalle mandrie vocianti, sguaiate e pizzaaltagliodipendenti sguinzagliate per città alta, faccio un paio di riflessioni sul mondo di chi parla e scrive di cibo. 

Per scrivere di cibo, prima ancora di metterlo nero su bianco, lo devi assaggiare. Come si fa a teorizzare un’emozione che prima di tutto è fisica? Come si fa a raccontare il cibo del mese (perché poi del mese??) se non hai avuto l’infantile, istintiva, neanche fanciullesca perché lì c’è già un pensiero, curiosità del mettere in bocca e assaporare? Come si fa a descrivere ad altri ciò che tu stesso non sai come è e nemmeno ti interessa saperlo? Poi capita di leggere delle cose che sono un sunto tra Wikipedia, le home page dei consorzi di produzione e le ricette più riprodotte del web. 

Attenzione, non ho detto cucinare: quello sarebbe avere 20000 punti in una volta sola. Ma assaggiare, santiddio, quello sì. E tanto. Perché ogni più banale, scontato, irrisorio ingrediente ha un tale passato da poter tranquillamente diventare un corso monografico, come quelli che seguivamo all’università in quattro gatti, tanto da farci l’appello.

Vogliamo scrivere di cibo? Bene! Ma assaggiamolo questo cibo, e non una volta, ma dieci venti cinquanta volte. Alla prossima.