Con un programma come sempre fittissimo torna, quest’anno alla Fabbrica del Vapore, l’importante appuntamento interamente dedicato all’Olio. Da giovedì 29 febbraio a sabato 2 marzo conferenze, workshop e laboratori per bambini trasporteranno il pubblico in una totale immersione negli infiniti mondi dell’olio e dei condimenti.
Il tema di quest’anno – Olio musicale – è quanto mai attuale”, spiega Luigi Caricato, ideatore e direttore del festival . “Anche perché, come tutti gli organismi viventi, anche le piante hanno una propria sensibilità ed emettono suoni, che ora, proprio in ragione di una specifica tecnologia, è possibile ascoltare. Si potrà cogliere la plateale differenza tra una pianta sana di olivo ed una afflitta dal batterio Xylella fastidiosa”.Le melodie scaturite dagli alberi sono rese possibili attraverso l’applicazione di alcuni elettrodi sulle foglie e sui rami della pianta. Tramite un algoritmo viene convertita l’impedenza elettrica in note musicali. L’olivo diventa così il compositore che genera le note musicali, lo smartphone l’esecutore che trasmette le note generate dall’olivo, e l’essere umano assume il ruolo di direttore d’orchestra. Importante, per la realizzazione di queste esecuzioni musicali, l’apporto di Alberto Fachechi in collaborazione con la musicista Angela Trane. In occasione del festival si potranno ascoltare delle esecuzioni in presa diretta su piante d’olivo con tecnologia Plants Play. Non mancheranno banchi di assaggio, performance artistiche e musicali, relazioni e tavoli tematici. Benvenuti i bambini, futuri palati esperti, con momenti a loro dedicati, come l’assaggio dell’olio e del pane di venerdì 1 marzo. Grazie alle numerose masterclass, a saggi guidati e percorsi gustativi tra oli italiani e abbinamenti con i cibi, la manifestazione si conferma ricca di spunti per una istantanea dello stato dell’arte dell’olio italiano.
Queste le informazioni per saperne di più:
Olio Officina Festival 2024 in breve
Quando: da giovedì 29 febbraio a sabato 2 marzo 2024
Dove: Fabbrica del Vapore, Spazio Ex Cisterne, Via Procaccini 4, Milano.
Cosa serve: farina bianca 00 circa 450gr, zucchero 150gr, burro 50gr, latte 50gr, grappa 50gr(ma io uso un buon gin), un uovo, olio per friggere, vanillina 1 bustina e mezza, sale un pizzicone.
Come si fa: in una ciotola sbattete l’uovo con 100 gr di zucchero, una volta montato inserite il burro fuso, non troppo caldo, il latte, il sale, la vanillina e la grappa o il gin. Dopo aver miscelato per bene aggiungete poco a poco la farina fino a formare un impasto morbido e abbastanza liscio. Lavorate sulla spianatoia per una mezz’ora, stendete piccoli pezzi per volta, tagliateli con la rotella e friggete in olio caldo facendo scolare su carta assorbente. Cospargete di zucchero semolato. Io uso anche un po’ di quello a velo. Ancora più buone il giorno dopo.
Serata Ki No Bi: tre diverse declinazioni del famoso gin giapponese per altrettanti piatti, più qualche sorpresa, ad accompagnare portate abitualmente proposte da LAlimentari, ristorante che si affaccia sulla affascinante Piazza Vecchia in Bergamo Alta.
La serata mi mette curiosità per varie ragioni, prima fra tutte: il Gin mi piace da tempo ma ne so praticamente nulla, il menu è accattivante e, last but not least, ci posso andare a piedi (considerando la potenza della bevanda in questione mi pare una nota di assoluto merito).
Sono sola ma Paolo Chiari, proprietario del locale, mi fa accomodare in un tavolo con la simpatica coppia titolare de L’Angolo del Bacco a Dolzago, piacevole compagnia cui si aggiungeranno in seguito due giovani di belle speranze provenienti da Pavia. L’introduzione fatta da Fabrizio, Brand Ambassador: il suo racconto si basa soprattutto sulla cura con la quale furono selezionate le 11 botaniche, suddivise in 6 diversi gruppi di elementi, dopo averne scelte e distillate ben 111. L’antipasto di prosciutto crudo e piccola burrata (non storcete il naso commentandone l’ovvietà, perché se le componenti sono di livello, il palato vi è grato) apre gli abbinamenti col gin: il primo è il Dry vestito da Martini. Un morbidezza di tocco che, un volta in bocca, si accompagna ed esalta la burrata. Gli gnocchi di pane con burro e parmigiano sono scortati dal secondo dei cocktail – Gin&Soda – e dal secondo dei gin in degustazione: il Ki No Tea, dove i toni dei due te verdi (Gyokuro e Tencha) si scontrano, a mio giudizio, con la cremosità del piatto, creando qualche asperità.
La serata procede in armonica allegria, chi si alza per fumare, chi racconta delle prove empiriche di miscelazione fatte in casa, chi prende appunti. Arriva il brasato con la polenta, un grande classico della cucina locale, abbinato ad Negroni a base Ki No Bi Sei, dove le note di ginepro (importato dall’Italia, tra l’altro), Ginger e pepe nero e limone cercano di opporsi alla carne e alla taragna, in modo un po’ stridente per me. Il Ki No Tea rientra con la panna cotta agli agrumi creando una assonanza perfetta. I tre Gin in purezza vengono poi serviti con piccole sorprese alla fine del pasto per ricondurci alla radice di questa serata di degustazione, ben riuscita e particolare.
Cosa serve: 200 gr di farina bianca, 100 gr di burro, 130 gr di zucchero, 1 kg di mele o pere, 3 uova, 2 cucchiai di succo di limone, 1 bustina di vanillina, 2 cucchiai di acqua fredda, 1 tuorlo, mezzo bicchiere circa di panna liquida, un pizzichino di sale
Come si fa: In una ciotola capiente lavorate la farina con il tuorlo, l’acqua e metà dello zucchero e il sale. Un volta impastato tutto, avvolgente nella pellicola e mettete in frigo per almeno un paio d’ore. Nel frattempo sbucciate la frutta, la mondate e la tagliate a fette non troppo sottili cospargendola col succo di limone. Poi scaldate il forno a circa 200°, regolatevi col vostro forno, io ne ho uno statico. Togliete la pasta dal frigo, stendetela a disco direttamente sulla carta da forno, a seconda della misura della tortiera fate salire i bordi. Bucherellate il fondo, disponete la frutta e mettete in forno sul ripiano più basso, per circa 25 minuti (regolatevi sempre col vostro forno). Intanto sbattete le uova con lo zucchero rimasto e aggiungete la panna. Togliete la teglia, versate la cremina e infornate di nuovo per altri 25/30 minuti. Tutto qui 🙂
La Focaccia di Recco è irresistibile: potete anche fare una classifica tra le focaccerie che fanno parte del ‘Consorzio della Focaccia di Recco col formaggio’ IGP per stabilire quella che vi piace di più ma sempre irrefrenabile sarà il desiderio di mangiarne ancora. Se insieme alla focaccia si ha la fortuna di gustare prodotti DOP e IGP che arrivano da tutta Italia, è fatta. Questo, in sintesi, l’intento di “Fattore Comune”, un incontro di prelibatezze giunto, venerdì 17 novembre, alla sesta edizione: far dialogare tra loro produttori e istituzioni, portando sul tavolo le difficoltà di tutela, le problematiche di diffusione (quasi sempre queste produzioni sono piccole o piccolissime) e illustrando i percorsi fatti, creandone di nuovi tesi a promuovere, legando tra loro, queste eccellenze vere della gastronomia italiana. Ho assaggiato salumi, formaggi, vini provenienti da tutta Italia e tutti accomunanti dalla produzione manuale, come la burrata o lo zafferano. Molto spesso ci si dimentica che nella produzione alimentare, a maggior ragione nelle DOP e nelle IGP, la mano dell’uomo è fondamentale, frutto di sapere che si trasmette nel tempo, e non può e non deve essere sostituito da macchine. Costa di più? Bene, la qualità si paga ma ripaga, sempre. Questi i protagonisti, tutti rigorosamente assaggiati:
Dalla Puglia: Burrata di Andria I.G.P.
Dall’Abruzzo: Zafferano dell’Aquila D.O.P.
Dalle Marche: Casciotta d’Urbino D.O.P.
Dal Piemonte: Asti D.O.C.G.
Dall’Emilia Romagna: Salumi D.O.P. Piacentini
Dal Piemonte: Crudo di Cuneo D.O.P.
Dalla Liguria
Rossese di Dolceacqua D.O.C.
Focaccia di Recco col formaggio I.G.P.
ASSAGGIA LA LIGURIA:
Basilico Genovese DOP, Olio DOP Riviera Ligure, Enoteca regionale della Liguria e, in anteprima, le OLIVE TAGGIASCHE LIGURI, per le quali si sta avvicinando il marchio IGP.
Il mio suggerimento: andare a Recco, mangiare la foccaccia col formaggio IGP, camminare sul lungo mare, visitare il suggestivo Santuario Nostra Signora del Suffragio ma soprattutto capire come mai Recco è così diversa da tutte le altre cittadine costiere. Per comprendere il moderno sviluppo urbanistico di Recco bisogna ripercorrere la storia recente: esattamente 80 fa, il 10 novembre, gli Alleati iniziarono a bombardare la città con l’intento di abbattere il ponte della ferrovia. I bombardamenti si conclusero solo il 28 giugno del ’44 dopo ben 27 incursioni. Una città quasi totalmente distrutta che ha visto cancellata, in sette mesi, una storia millenaria e che, rapidamente ricostruita, non ha perso la sua identità di cibo, di profumi, di colori, di mare e di carattere.
“Quando il prodotto DOP e IGP è sinonimo di territorio” questo, in sostanza il focus di Fattore Comune, una manifestazione giunta alla sesta edizione e che ha come obiettivo quello di conoscere e far conoscere alte realtà produttive enogastronomiche DOP (Denominazione d’Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta). Un intreccio di storie, persone, prodotti e tradizioni che diventano patrimonio e simbolo di un territorio. In un mondo votato alla globalizzazione e dove tutto viene consumato in fretta e in grandi quantità diventa ancor più importante mettere in rilievo le piccole o piccolissime produzioni locali. Un offerta di mercato che, proprio per la peculiarità delle dimensioni territoriali, diventa una sorta di ponte tra consumo locale tradizionale e turismo consapevole, mantenendo viva la storia del cibo, del vino, dei luoghi e delle persone. Qui di seguito trovate il programma dei lavori di venerdì 17 novembre.
Era il 2020, anno complicato. Ma, come ricorda Lucilla Ortani, instancabile anima della manifestazione, eravamo un pugno di appassionati alla prima edizione di questa festa all’insegna del Pinot Noir.
Voghera ci ha creduto, ci hanno creduto gli organizzatori, il Movimento Turismo del Vino di Lombardia e tutti i produttori sempre più numerosi e decisi a far conoscere questo affascinante vitigno. In questi tre giorni si potranno degustare più di 50 diverse etichette in cinquanta punti della città: un percorso che si snoda all’interno del centro cittadino, tra botteghe storiche e locali. Senza fretta, con i ritmi dettati da ogni singolo partecipante, un salotto accogliente all’interno del quale soffermarsi per conoscere, assaporare e incontrare. Io ci sarò, e voi?
Far emergere le piccole realtà territoriali o le produzioni limitate, se pur eccellenti, non è sempre facile; le risorse delle aziende sono calibrate sulla propria dimensione, la necessaria competenza spesso manca così come le persone, il tempo, a volte anche la spinta a proiettarsi all’esterno. Mettersi in moto, soprattutto tutti insieme, è un processo lungo, complesso, non sempre così facile da fare proprio. Anni fa collaboravo con una rivista di enogastronomia creando micro/mini percorsi turistici che comprendessero sempre tre elementi base: l’arte – intesa come luogo da visitare, il cibo e il vino. Mi è piaciuto così tanto che ora lo faccio di professione, con l’Associazione LeVagabonde. Grazie a questa passione è stato un piacere incontrare i produttori riuniti nel GAL Terreverdi Teramane, bandiera di un territorio che, dai comuni della costa si addentra nelle colline che si affacciano sul mare. Siamo in Abruzzo, una terra che ha la fortuna di avere montagne imponenti che si tuffano nel mare dopo essersi stemperate nelle vallate e nelle colline ricoperte di vigneti e di storia.
Parliamo dei vini: otto le aziende che hanno partecipato ad una manifestazione itinerante, Borgo di Vino, approdata a Bergamo, in un luogo evocativo di storia e bellezza: il cortile e la piazza antistante la Pinacoteca Accademia Carrara. Conoscere i vini presentati, con calma e attenzione, nel corso di una degustazione avvenuta al Circolino in Bergamo Alta, cooperativa storica, ristorante e posto dove si va, è stato non solo interessante ma stimolante e fondamentale per l’approccio a DOC e IGT non così consuete nei ristoranti locali. Certo, la cucina del territorio vuole i vini del territorio ma…le proposte dei ristoranti sono più ampie, si introducono anche preparazioni non più così strettamente legate alla cucina tradizionale: perché non inserire vini che, lo confermo dopo la degustazione, vanno dai bianchi più freschi ai rosati intensi e ai rossi corposi come il Montepulciano d’Abruzzo che ben si accompagnerebbe ai piatti locali.
Il 28 aprile, promossa dalla FIPE, si è tenuta la prima edizione della Giornata della Ristorazione Per la Cultura della Ospitalità Italiana: lo sapevate, ne avete sentito parlare? Non molto? Vi racconto del Convegno che si è tenuto a Bergamo, organizzato da Ascom. Permettetemi una premessa: la città di Bergamo è una novellina nel mondo delle destinazioni turistiche e lasciatemi dire, ora indosso la giacchetta della guida turistica di lungo cammino, qui c’è ancora tanto da fare. Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio, ha aperto presentandoci i dati raccolti nelle strutture di pernottamento: una piccola indagine rivolta soprattutto al mondo della enogastronomia, dove le risposte prevalenti sono state quelle dei turisti stranieri. Per questi ospiti oltre all’apprezzamento per la città, la voce interesse ed importanza dell’enogastronomia comincia ad avere percentuali di rilievo. Come dire che la visita ad una città, una regione, diventa più completa e goduta se accompagnata da proposte enogastronomiche di valore, evidentemente locale. E qui sta la chiave di tutto, puntualizzata anche da Roberta Garibaldi, docente universitaria di Tourism Management: Bergamo è passata da pernottamenti e presenze in città con prevalenza business ad un crescente interesse di meta d’arte, cibo e vino. Petronilla Frosio, presidente del Gruppo ristoranti Ascom, centra il punto sulla crisi della ristorazione: dalla mancanza del personale alla sostenibilità economica. Non solo, si parla spesso di prodotti ma mai di ricette; deve esserci orgoglio nel recupero del cibo tradizionale, serve considerare il mondo complesso della ristorazione non solo dal quel 2% di ristoranti stellati, ma da quelle migliaia di esercizi che ogni giorno accolgono i loro clienti. L’intervento di Mauro Carbone, direttore del Centro Nazionali Studi sul Tartufo di Alba, racconta dell’esperienza delle Langhe dove 500 produttori di vino si sono posti l’obiettivo di far diventare Alba e il suo territorio come La Meta per chi vuole bere grandi vini e gustare una cucina spettacolare.
D’accordo, Bergamo non ha il tartufo e nemmeno il barolo ma c’è talmente tanto altro! Chi visita la città per la prima volta ne è sorprendentemente incantato, vive davvero una, due, tre giornate uniche, un turismo che si consuma a piedi, che chiede dove sono i sentieri sui colli, che esige di mangiare e bere del territorio. Fortunatamente si allontanano sempre di più gli anni in cui certi ristoratori di Bergamo Alta proponevano vini toscani o piemontesi per accompagnare i casoncelli, pasta ripiena tipica. Certo qui magari non abbiamo i 500 imprenditori e investitori piemontesi ma abbiamo decine di ristoranti piccoli, grandi, medi che fanno ospitalità. Ospitalità Italiana sinonimo di accoglienza curata, amichevole e legata alle tradizioni: un tratto che si esprime attraverso il ricevimento in hotel, al ristorante, dal produttore che sia di vino, di formaggio o di altro. Un campo enorme sul quale non bisogna mai smettere di imparare e adeguarsi alle richieste del visitatore, senza snaturare la propria identità territoriale, al contrario, valorizzarla perché è un innegabile valore aggiunto.
Se l’obiettivo comune è quello di crescere e far crescere la conoscenza della cucina bergamasca, passando per un recupero della sua identità, cosa manca per intraprendere questo cammino? Risorse, tempo, voglia di fare squadra? Chi viene per avere informazioni, italiano o straniero che sia, in uno qualsiasi degli uffici informazioni turistiche chiede non solo la mappa della città ma cosa e dove trovare cibo e vino tipico, per consumarlo ma anche per comprarlo. Le diverse paste, i formaggi, i vini, il Moscato di Scanzo, possono essere un inizio, tanto per stilare un elenco veloce. Certo, in aeroporto (altro grande punto di vantaggio) esiste un bellissimo negozio gestito da VisitBergamo che promuove e vende esattamente questo, oltre a prodotti che arrivano da altre tre province, ma non è sufficiente perché intercetta solo una parte del movimento turistico. Il visitatore arriva in città con una serie di informazioni che ha trovato nel web e sa, perché vi giuro che lo sa, che cosa è la polenta, alcuni addirittura i casoncelli, e li vuole assaggiare perché la curiosità enogastronomia è parte della sua motivazione a viaggiare. E scusate ma questo è un grande aiuto: abbiamo già una forte domanda, cerchiamo di confezionare al meglio l’offerta.
E il vino? Qui nella provincia si stanno recuperando vitigni autoctoni dimenticati da tempo, e di nuovo abbiamo un valore aggiunto. In tante zone d’Italia non è nemmeno pensabile il gustare un piatto tipico senza il vino del luogo, o viceversa. Il recupero di ricette e piatti lasciati in disparte presuppone prima fra tutti la capacità di riprodurli, non industrialmente, di raccontarli e di farli conoscere; da qualche parte bisogna pur iniziare. Anche lo Scarpinocc può diventare un’esperienza, perché no? Facciamo in modo che il turista possa ripartire da Bergamo con la voglia di ritornare per sedersi di nuovo a tavola, ma soprattutto che condivida questo suo desiderio con gli amici.
La conclusione sulle criticità del settore ci viene Massimo Valerio Visintin, critico enogastronomici del Corriere della Sera: quel signore che vedete apparire vestito e mascherato di nero per preservare la propria identità quando si reca da semplice avventore nei locali per valutarli. Visintin non fa mistero dei mali che affliggono il mondo della ristorazione: inserimenti di malaffare, improvvisazione del personale che non si riesce a far crescere tantomeno a fidelizzare; insomma un panorama che non promette bene.
Carne al fuoco ce n’è davvero tantissima, resta solo da mettersi in moto.
Un programma intenso e diversificato per l’edizione 2023, un tema impegnativo e un approccio giocoso ma importante studiato per i bambini. Luigi Caricato punta l’attenzione sulla competitività dell’olio italiano che, nonostante l’indiscussa e altissima qualità, non riesce ancora ad organizzare processi produttivi più razionali, sia dalla parte agricola che commerciale.
“In Italia troppo spesso le aziende conducono un’olivicoltura tradizionale di bassa densità –con ampie porzioni di terreno non occupate tra un olivo e l’altro – che affonda le radici in un modello colturale, ma anche culturale e sociologico del passato quando l’appezzamento di terreno era la “dispensa” delle famiglie che da quel terreno traevano il proprio sostentamento: tra gli interfilari degli olivi piantavano cereali, ortaggi, viti, alberi da frutto – spiega Luigi Caricato. Oggi è necessario che gli imprenditori olivicoli italiani, sostenuti da una adeguata e coerente volontà politica, decidano che cosa vogliano fare “da grandi”: se credere in una olivicoltura sistemica, unita, moderna ed economicamente efficiente, oppure produrre olio per diletto“.
Una riflessione importante che può attivare un cambiamento altrettanto significativo, attraverso un ‘salto culturale e tecnologico, che porti verso una agricoltura di precisione e, là dove possibile, anche a una olivicoltura ad alta densità, sempre rispettosa dell’ambiente e sostenibile’, dove la ricerca e l’innovazione siano parte fondante.