Il 28 aprile, promossa dalla FIPE, si è tenuta la prima edizione della Giornata della Ristorazione Per la Cultura della Ospitalità Italiana: lo sapevate, ne avete sentito parlare? Non molto? Vi racconto del Convegno che si è tenuto a Bergamo, organizzato da Ascom. Permettetemi una premessa: la città di Bergamo è una novellina nel mondo delle destinazioni turistiche e lasciatemi dire, ora indosso la giacchetta della guida turistica di lungo cammino, qui c’è ancora tanto da fare. Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio, ha aperto presentandoci i dati raccolti nelle strutture di pernottamento: una piccola indagine rivolta soprattutto al mondo della enogastronomia, dove le risposte prevalenti sono state quelle dei turisti stranieri. Per questi ospiti oltre all’apprezzamento per la città, la voce interesse ed importanza dell’enogastronomia comincia ad avere percentuali di rilievo. Come dire che la visita ad una città, una regione, diventa più completa e goduta se accompagnata da proposte enogastronomiche di valore, evidentemente locale. E qui sta la chiave di tutto, puntualizzata anche da Roberta Garibaldi, docente universitaria di Tourism Management: Bergamo è passata da pernottamenti e presenze in città con prevalenza business ad un crescente interesse di meta d’arte, cibo e vino. Petronilla Frosio, presidente del Gruppo ristoranti Ascom, centra il punto sulla crisi della ristorazione: dalla mancanza del personale alla sostenibilità economica. Non solo, si parla spesso di prodotti ma mai di ricette; deve esserci orgoglio nel recupero del cibo tradizionale, serve considerare il mondo complesso della ristorazione non solo dal quel 2% di ristoranti stellati, ma da quelle migliaia di esercizi che ogni giorno accolgono i loro clienti. L’intervento di Mauro Carbone, direttore del Centro Nazionali Studi sul Tartufo di Alba, racconta dell’esperienza delle Langhe dove 500 produttori di vino si sono posti l’obiettivo di far diventare Alba e il suo territorio come La Meta per chi vuole bere grandi vini e gustare una cucina spettacolare.
D’accordo, Bergamo non ha il tartufo e nemmeno il barolo ma c’è talmente tanto altro! Chi visita la città per la prima volta ne è sorprendentemente incantato, vive davvero una, due, tre giornate uniche, un turismo che si consuma a piedi, che chiede dove sono i sentieri sui colli, che esige di mangiare e bere del territorio. Fortunatamente si allontanano sempre di più gli anni in cui certi ristoratori di Bergamo Alta proponevano vini toscani o piemontesi per accompagnare i casoncelli, pasta ripiena tipica. Certo qui magari non abbiamo i 500 imprenditori e investitori piemontesi ma abbiamo decine di ristoranti piccoli, grandi, medi che fanno ospitalità. Ospitalità Italiana sinonimo di accoglienza curata, amichevole e legata alle tradizioni: un tratto che si esprime attraverso il ricevimento in hotel, al ristorante, dal produttore che sia di vino, di formaggio o di altro. Un campo enorme sul quale non bisogna mai smettere di imparare e adeguarsi alle richieste del visitatore, senza snaturare la propria identità territoriale, al contrario, valorizzarla perché è un innegabile valore aggiunto.
Se l’obiettivo comune è quello di crescere e far crescere la conoscenza della cucina bergamasca, passando per un recupero della sua identità, cosa manca per intraprendere questo cammino? Risorse, tempo, voglia di fare squadra? Chi viene per avere informazioni, italiano o straniero che sia, in uno qualsiasi degli uffici informazioni turistiche chiede non solo la mappa della città ma cosa e dove trovare cibo e vino tipico, per consumarlo ma anche per comprarlo. Le diverse paste, i formaggi, i vini, il Moscato di Scanzo, possono essere un inizio, tanto per stilare un elenco veloce. Certo, in aeroporto (altro grande punto di vantaggio) esiste un bellissimo negozio gestito da VisitBergamo che promuove e vende esattamente questo, oltre a prodotti che arrivano da altre tre province, ma non è sufficiente perché intercetta solo una parte del movimento turistico. Il visitatore arriva in città con una serie di informazioni che ha trovato nel web e sa, perché vi giuro che lo sa, che cosa è la polenta, alcuni addirittura i casoncelli, e li vuole assaggiare perché la curiosità enogastronomia è parte della sua motivazione a viaggiare. E scusate ma questo è un grande aiuto: abbiamo già una forte domanda, cerchiamo di confezionare al meglio l’offerta.
E il vino? Qui nella provincia si stanno recuperando vitigni autoctoni dimenticati da tempo, e di nuovo abbiamo un valore aggiunto. In tante zone d’Italia non è nemmeno pensabile il gustare un piatto tipico senza il vino del luogo, o viceversa. Il recupero di ricette e piatti lasciati in disparte presuppone prima fra tutti la capacità di riprodurli, non industrialmente, di raccontarli e di farli conoscere; da qualche parte bisogna pur iniziare. Anche lo Scarpinocc può diventare un’esperienza, perché no? Facciamo in modo che il turista possa ripartire da Bergamo con la voglia di ritornare per sedersi di nuovo a tavola, ma soprattutto che condivida questo suo desiderio con gli amici.
La conclusione sulle criticità del settore ci viene Massimo Valerio Visintin, critico enogastronomici del Corriere della Sera: quel signore che vedete apparire vestito e mascherato di nero per preservare la propria identità quando si reca da semplice avventore nei locali per valutarli. Visintin non fa mistero dei mali che affliggono il mondo della ristorazione: inserimenti di malaffare, improvvisazione del personale che non si riesce a far crescere tantomeno a fidelizzare; insomma un panorama che non promette bene.
Carne al fuoco ce n’è davvero tantissima, resta solo da mettersi in moto.